Controversie sulle Parti Comuni del Condominio? Ecco come Agire

Questa settimana, l’Abogado Mara Battaglia, in un articolo davvero preciso e puntuale, risponde alle domande più frequenti in merito alla parti comuni del Condominio e alle cause che possono insorgere a tal proposito.

Buona lettura!

 Premessa.

Quanto segue fa parte di un più ampio studio, ad opera di chi scrive, sulla legittimazione ad agire nel contenzioso condominiale, al quale si rimanda per una visione completa dell’argomento.

Per meglio inquadrare lo stralcio che qui si propone, ci limitiamo a notare che:

1 – Ai sensi dell’art. 1130 c.c. l’amministratore deve “compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio”; in questa dizione sono da comprendere non solo gli atti materiali di conservazione delle parti comuni (che non riguardano il presente studio), ma anche le azioni giudiziali in difesa dei relativi diritti conservativi (che sono oggetto del presente studio) come ci ricorda la Suprema Corte l’amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condomini sia contro i terzi. Secondo l’interpretazione di questa Corte, il legislatore ha inteso riferirsi ai soli atti materiali (riparazioni di muri portanti, di tetti e lastrici) e giudiziali (azioni contro comportamenti illeciti posti in essere da terzi) necessari per la salvaguardia dell’integrità dell’immobile (Cass. 8233/07), cioè ad atti meramente conservativi. Resta esclusa la possibilità di esperimento di azioni reali contro i singoli condomini o contro terzi dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità o al contenuto di diritti su cose e parti dell’edificio” (Cass. 3044/09; Cass. 5147/03).

2 – L’amministratore ex art. 1131 c.c. ha la legale rappresentanza del condominio e lo rappresenta tanto negli affari stragiudiziali quanto nelle controversie giudiziali. In quest’ultimo caso bisogna distinguere tra azioni attive e passive. Le prime sono quelle in cui è il condominio a citare in causa un comproprietario o un terzo per far valere i propri diritti; le seconde sono quelle in cui è il condominio ad essere citato in giudizio. Per entrambe le ipotesi, in alcuni casi l’assemblea deve autorizzare l’amministratore ad iniziare la causa o a resistere in giudizio; in altri l’amministratore può agire o resistere autonomamente. Mentre dal lato attivo le sue attribuzioni sono delimitate dall’art. 1130 cc., per quello passivo, nonostante un intervento delle Sezioni Unite (Sent. n. 18331/11) ad oggi non è dato comprendere se abbia o non abbia limiti.

3 – Il difetto di legittimazione può essere rilevato d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento e

può essere sanato da una successiva delibera dell’assemblea: “Correttamente, quindi, è stata riconosciuta efficacia sanante retroattiva all’autorizzazione conferita dall’assemblea dei condomini. L’operatività ex tunc della ratifica, nel campo del diritto processuale, permette di riferire allo pseudorappresentato l’attività svolta dal falsus procurator. Pertanto, il conferimento all’amministratore del condominio del potere di stare in giudizio relativamente a controversia estranea alle sue specifiche attribuzioni (artt. 1130 e 1131 c.c.) poteva sopravvenire utilmente, con effetto sanante, dopo la proposizione dell’azione”.

 

Quando si può affermare che un bene ricade nelle parti comuni?

I beni comuni sono individuati dall’art. 1117 c.c. oppure – contenendo tale norma un’elencazione meramente esemplificativa – dalla funzione cui sono destinati. Ciò sempre che il titolo (vale a dire gli atti d’acquisto o il regolamento condominiale di natura contrattuale, debitamente registrato) non disponga altrimenti.       

Dal 1993 ad oggi quasi tutte le pronunce reperibili parlano di presunzione di condominialità e non di condominialità vera e propria.

La presunzione di condominialità può essere vinta solo da un atto scritto e non da comportamenti e situazioni di fatto tali da alterare la destinazione funzionale.

E’ possibile una condominialità “parziale” cioè limitata ad alcuni condomini.

 

“il diritto di condominio sulle parti comuni dell’edificio ha il suo fondamento nel fatto che tali parti siano necessarie per l’esistenza dell’edificio stesso, ovvero che siano permanentemente destinate all’uso o al godimento comune, sicché la presunzione di comproprietà posta dall’art. 1117 c.c., che contiene un’elencazione non tassativa ma meramente esemplificativa dei beni da considerare oggetto di comunione, può essere superata se la cosa, per obbiettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo all’uso o al godimento di una parte dell’immobile, venendo meno, in questi casi, il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria, giacché la destinazione particolare del bene prevale sull’attribuzione legale, alla stessa stregua del titolo contrario”(Cass. 12572/ 2014).

La giurisprudenza ha affermato principi che non sono in conflitto tra loro, che anzi si integrano gli uni con gli altri; ed infatti: 1) nel caso di parti astrattamente comuni ai sensi dell’art. 1117 c.c. destinate per le loro caratteristiche a servire tutte le unità immobiliari presenti nel condominio, la condominialità può esser esclusa solo in base a titolo contrario (Cass. n. 27145/2007); 2) nel caso di parti rientranti tra quelle elencate all’art. 1117 c.c., ma funzionalmente destinate a servire solo alcune unità immobiliari, la condominialità non è mai sorta e quindi va esclusa senza bisogno di titolo contrario (Cass. 822/2014).

Per vincere la presunzione legale di proprietà comune delle parti dell’edificio condominiale indicate nell’articolo 1117 c.c., non sono sufficienti il frazionamento -accatastamento, e la trascrizione, eseguiti a domanda del venditore costruttore, della parte dell’edificio in questione, trattandosi di atto unilaterale di per sé inidoneo a sottrarre il bene alla comunione condominiale, dovendosi riconoscere tale effetto solo al contratto di compravendita, in cui la previa delimitazione unilaterale dell’oggetto del trasferimento sia stata recepita nel contenuto negoziale per concorde volontà dei contraenti (Cass. 54/2014).

L’art. 1117 c.c. esprime un principio di carattere generale, a termini del quale, ove un bene del complesso immobiliare, su cui insiste il condominio, comunque risponda a requisiti di destinazione oggettiva e funzionale al godimento o al servizio della collettività dei partecipanti, ancorché non rientrante nella elencazione normativa, si presume di proprietà comune, a meno che il contrario non risulti con chiarezza dal titolo.

In caso di costituzione del condominio a seguito del frazionamento della proprietà di un edificio, determinato dall’alienazione da parte dell’originario unico proprietario ad altri soggetti, di alcune unità immobiliari, si determina la comunione “pro indiviso”di quelle parti del fabbricato che, per ubicazione e struttura, siano – in tale momento costitutivo del condominio – destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso, sempre che il contrario non risulti dal titolo: il che sta a significare che è possibile la volontà di riservare esclusivamente ad uno dei condomini la proprietà di dette parti e di escluderne gli altri (Cass. 17036/2012).

In punto di diritto, avendo questa Corte già affermato che, poiché la prova contraria alla presunzione di condominialità deve consistere in un titolo di proprietà esclusiva del bene, sono insufficienti a tal fine le risultanze del regolamento condominiale e l’inclusione del bene medesimo nelle tabelle condominiali (Cass. 6175 /2009).

Con le pronunce di questa Corte nelle quali è stato richiamato il concetto di presunzione, non si è inteso affermare che la prova della proprietà esclusiva delle cose comuni di cui all’art. 1117 c.c. possa essere fornita con ogni mezzo e non con il solo titolo cui la norma espressamente si riferisce, ma si sono volute escludere dallo stesso complesso delle cose comuni quelle parti che per le loro caratteristiche strutturali risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari di un determinato edificio. In altri termini, ritenendosi in tali decisioni che “la destinazione particolare vince la presunzione legale di condominio alla stessa stregua di un titolo contrario”, benché si sia richiamato erroneamente il concetto di presunzione, del tutto estraneo alla norma dell’art. 1117 c.c., si è pero, enunciato anche il principio, indubbiamente corretto, secondo cui una cosa non può proprio rientrare nel novero di quelle comuni se serva per le sue caratteristiche strutturali soltanto all’uso e al godimento di una parte dell’immobile oggetto di un autonomo diritto di proprietà (Cass. S.U. 7449/1993).

Premesso che le pertinenze (art. 817 c.c.) sono cose destinate in modo durevole al servizio o all’ornamento di altra cosa riguardabile come principale, la presunzione dell’art. 1117 c.c. opera anche nei confronti delle pertinenze (per es. manufatti destinati a dare aria e luce alle singole unità immobiliari o alle parti comuni dell’edificio) poiché questa norma non distingue tra i beni in essa indicati sub 1) e quelli indicati sub 2) e 3) (Cass. 2999/1988).

 

Chi deve fornire la prova che un bene non rientra tra le parti comuni di un edificio?

Il condomino che vuol far valere il diritto.

 

Inoltre, chi, come nel caso di specie, agisce “per tutelare la proprietà di un bene appartenente a quelli indicati dall’art. 1117 c.c. – e non per rivendicarla – non è necessario che dimostri, con il rigore richiesto per la rivindicatio, la comproprietà del medesimo, essendo sufficiente, per presumerne la natura condominiale, che esso abbia l’attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo, e cioè sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini, in rapporto con queste da accessorio a principale, mentre spetta al condomino, che ne afferma la proprietà esclusiva, darne la prova (Cass. n. 822 /2014).

Sicché, quando il bene, per le sue obiettive caratteristiche funzionali e strutturali, serva al godimento delle parti singole dell’edificio comune, opera la presunzione di contitolarità necessaria di tutti in condomini cui il bene serve, laddove la presunzione di cui all’art. 1117 c.c. non sia vinta da un titolo contrario, la cui esistenza deve essere dedotta e dimostrata dal condomino che vanti la proprietà esclusiva sul bene, potendosi a tal fine, utilizzare il titolo – salvo che si tratti di acquisto a titolo originario – solo ove da esso si desumano elementi tali da escludere in maniera inequivocabile la comunione (Cass. 9093/2007).

Spetta al condomino che sostenga di essere proprietario esclusivo di un bene che l’art. 1117 c.c. comprende fra le parti comuni di un edificio dimostrare la legittimità della pretesa (Cass. 3862/1988).

 

Proprietà esclusiva vuol dire uso esclusivo? Uso esclusivo vuol dire proprietà esclusiva?

 No. In alcuni casi si deve presumere un diritto di servitù.

 

L’obiettiva attitudine dei beni a soddisfare esigenze collettive non esclude che gli stessi siano oggetto di proprietà esclusiva di un condomino, posto che in tal caso l’asservimento necessario esistente al momento della costituzione del condominio configurerà eventualmente ove ne ricorrano i presupposti voluti dall’art. 1062 c.c. – una servitù costituita per destinazione del padre di famiglia” (Cass. 17036/2012).

Il proprietario di un immobile, inserito in un condominio non può precludere l’accesso alla proprietà comune (il vano di accesso all’argano di un’ascensore), anche se nell’atto di vendita è stato concesso in “uso esclusivo”. Infatti, se pur al proprietario dell’appartamento spetta l’uso esclusivo della parte, rimane comunque di proprietà comune e dunque accessibile (Cass 13200/1999).

“Se sulle parti comuni di un edificio in condominio, grava un peso diretto a fornire ad un piano o ad una porzione di piano in proprietà solitaria una utilità ulteriore e diversa, rispetto a quella normalmente derivante dalla destinazione della cosa al servizio di tutte le unità immobiliari, si configura la sussistenza di una servitù, sempre che tale peso abbia origine nei modi previsti dalla legge e, tra questi, la destinazione del padre di famiglia (Cass. 11207/1993).

 

Quali azioni giudiziali è legittimato a compiere autonomamente l’amministratore in relazione alle parti comuni?

Le azioni conservative dei diritti delle parti comuni dell’edificio possono essere azionate dall’amministratore ex art. 1130 cc., anche senza alcuna preventiva deliberazione condominiale; mentre le azioni che tendono ad incidere sul riconoscimento ex novo di un diritto reale di godimento devono essere azionate dai condomini singolarmente considerati o comunque dai condomini in gruppo, poiché non sono oggetto della gestione condominiale.

Per l’esercizio di tali azioni da parte dell’amministratore è, pertanto, necessaria, a seconda dei casi, o l’autorizzazione dei singoli condomini interessati o quella dell’assemblea, con la maggioranza prescritta dall’art. 1136 c.2 c.c.

 

Resta esclusa (dalla legittimazione dell’amministratore a proporre azione ndr), di conseguenza, la possibilità di esperimento di azioni reali, contro i singoli condomini o contro terzi, dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità o al contenuto di diritti su cose e parti dell’edificio (Cass. 7327/2013).

“L’amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condomini sia contro i terzi. Invero, il legislatore ha inteso riferirsi ai soli atti materiali (riparazioni di muri portanti, di tetti e lastrici) e giudiziali (azioni contro comportamenti illeciti posti in essere da terzi) necessari per la salvaguardia dell’integrità dell’immobile (Cass. 8233/07), cioè ad atti meramente conservativi. Resta esclusa la possibilità di esperimento di azioni reali contro i singoli condomini o contro terzi dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità o al contenuto di diritti su cose e parti dell’edificio (Cass. 16230/2011).

Nessuna limitazione sussiste in relazione alla legittimazione passiva dell’amministratore di condominio per qualsiasi azione anche di natura reale, promossa contro il condominio, da terzi (o anche dal singolo condomino) in ordine alle parti comuni dell’edificio e tale legittimazione sussiste anche in ordine all’interposizione di ogni mezzo di gravame che si renda eventualmente necessario in relazione ad ogni tipo d’azione, anche reale o possessoria, promossa nei confronti del condominio da terzi o da un singolo condomino (Cass 22886/2010).

La decisiva ed assorbente considerazione che la disposizione dell’art. 1130 c.c., comma 4 obbligando l’amministratore ad eseguire gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio, ha inteso chiaramente riferirsi ai soli atti materiali (riparazioni di muri portanti, di tetti e lastrici) e giudiziali (azioni contro comportamenti illeciti posti in essere da terzi) necessari per la salvaguardia dell’integrità dell’immobile (Cass. 8233/2007).

In caso di pretese concernenti l’affermazione di diritti di proprietà, anche comune, la legittimazione ad agire in giudizio dell’amministratore può trovare fondamento soltanto nel mandato conferito da ciascuno dei condomini al medesimo amministratore e non già – ad eccezione della equivalente ipotesi di unanime positiva deliberazione di tutti i condomini – nel meccanismo deliberativo dell’assemblea condominiale, che vale ad attribuire, nei limiti di legge e di regolamento, la mera legittimazione processuale ex art. 77 c.p.c., presupponente peraltro quella sostanziale. Pertanto, in assenza del potere rappresentativo in capo all’amministratore in relazione all’azione esercitata, la mancata costituzione del rapporto processuale per difetto della legittimazione processuale inscindibilmente connessa al potere rappresentativo sostanziale mancante – vizio rilevabile anche d’ufficio, pure in sede di legittimità – comporta la nullità della procura alle liti, di tutti gli atti compiuti e della sentenza (Cass. 5862/2007).

Esulano dal concetto di “atti conservativi”, contemplato dall’art. 1130, n. 4 c.c. le azioni reali nei confronti dei terzi a difesa dei diritti dei condomini sulle parti comuni dell’edificio, in quanto tendono a incidere sulla titolarità e sul contenuto dei diritti medesimi. Per l’esercizio di tali azioni è, pertanto, necessaria l’autorizzazione dell’assemblea, con la maggioranza prescritta dall’art. 1136, c. 2 c.c., per adire il giudice (Cass. 24764/2005).

 

 La legittimazione di cui sopra è esclusiva o concorrente con quella dei condomini?

Poiché il rapporto di condominio non determina l’esistenza di un ente giuridico con personalità distinta da quella dei condomini, ma dà solo luogo a un ente di gestione, che opera in rappresentanza e nell’interesse comune dei partecipanti e limitatamente all’amministrazione e al buon uso della cosa comune, senza interferire nei diritti autonomi di ciascun condomino, i singoli condomini, pur in presenza dell’organo rappresentativo unitario, non sono privati del potere di agire a difesa dei diritti esclusivi e comuni, inerenti all’immobile condominiale, né, conseguentemente, di intervenire nel giudizio in cui tale difesa sia stata già legittimamente assunta dall’amministratore o di avvalersi dei mezzi di impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunciata nei confronti dell’amministratore medesimo (cfr. ex multis Cass. 7130/2001).

 

In quest’ottica, in proposito, nella giurisprudenza di questa Corte (v., ad es., Cass. n. 2950 del 1967 e Cass. n. 3600 del 1991) non si è dubitato del diritto del condominio e dei condòmini di agire direttamente, ed anche unicamente, nei confronti del conduttore di unità immobiliari comprese nell’edificio condominiale per far dichiarare illegittimo e per far cessare l’uso delle cose comuni che lo stesso pretenda di esercitare in modo non conforme alle prescrizioni di cui all’art. 1102 c.c. o al regolamento del condominio (Cass. 2483/2012).

Il potere- dovere riconosciuto all’amministratore di rappresentare il condominio nelle liti, in alcuni casi non esclude, la possibilità di agire, o di dissentire dalle liti, dei singoli condomini o del condominio nel suo insieme, a volte consentendo una legittimazione concorrente; in particolare ciascun condomino può agire in giudizio a prescindere dall’amministratore, a tutela dei diritti inerenti le parti comuni dell’edificio, poiché il diritto dell’amministratore si aggiunge a quello dei diritti degli interessati ad agire a tutela dei beni dei quali sono comproprietari (Cass. 9629/91).

La facoltà riconosciuta all’amministratore del condominio dall’art. 1130 n. 4, c.c. di agire in giudizio per compiere atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio non esclude che ciascun condomino possa provvedervi direttamente. Il diritto dell’amministratore si aggiunge infatti a quello dei naturali e diretti interessati ad agire per il fine indicato a tutela dei beni dei quali sono comproprietari insidiati da azioni illegittime di altri condomini o di terzi. Pertanto, nel caso di una costruzione eretta abusivamente da un condomino su una parte comune dell’edificio, la controversia è regolarmente promossa nei confronti del solo autore dell’illecito anche da parte di uno solo dei condomini, atteso che ciascuno di essi ha il diritto di esigere indipendentemente dell’opinione degli altri la rimozione dell’opera abusiva (Cass. 9629/1991).

 

C’è una responsabilità per l’amministratore che omette di tutelare i diritti condominiali?

Sì, quello dell’amministratore è un vero e proprio dovere-potere; in difetto può essere rimosso dalla carica ed eventualmente condannato a risarcire il danno.

 

Si può affermare che l’amministratore abbia un vero e proprio “potere-dovere” di compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio condominiale. Può desumersi quindi che, in caso di omessa attivazione da parte dell’amministratore, egli possa ritenersi responsabile per non aver adempiuto a quanto era legittimato e tenuto, in adempimento del proprio incarico di mandato (Cass. 5613/1996).

Sussiste la legitimatio ad causam e ad processum dell’amministratore del condominio, senza bisogno di alcuna autorizzazione, allorquando egli agisca a tutela di beni condominiali, giacché i poteri gli vengono direttamente dalla legge e precisamente dall’art. 1130, n. 4 del c.c. che gli pone addirittura come dovere proprio del suo ufficio quello di compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio, potere-dovere da intendersi non limitato agli atti cautelativi ed urgenti ma esteso a tutti gli atti miranti a mantenere l’esistenza e la pienezza o integrità di detti diritti (Cass. 6494/1986).

 

Quali sono i termini per proporre un’azione possessoria?

 

L’esperibilità delle azioni possessorie è soggetta ad un termine annuale di decadenza (artt. 1168, c. 1°; 1170, c. 1°, c.c.).

 

In tema di azione di manutenzione, qualora alla turbativa del possesso concorra una pluralità di atti, il tempo dal quale decorre il termine annuale per proporre detta azione possessoria va individuato in quello in cui è percepibile, da parte del soggetto passivo, che un singolo atto costituisca parte di una pluralità di atti intesa a realizzare una lesione possessoria. Va, pertanto, distinta l’ipotesi in cui la lesione del possesso si sostanzia in una pluralità di atti ciascuno dei quali autonomamente lesivo, da quella in cui l’atto lesivo sia uno solo, ancorché preceduto da altri atti di carattere strumentale; nell’un caso, il detto termine decorre dal primo degli atti lesivi quando essi siano connessi in modo da costituire una progressione seriale di attentati possessori, mentre decorre da ciascuno e per ciascuno degli atti lesivi ove essi presentino carattere di autonomia; nell’altro, essendovi un unico atto lesivo, quello finale, il decorre da quest’ultimo; tuttavia, anche in tal caso, se gli atti strumentali, di per se stessi non lesivi, siano tali da rendere evidente la loro funzionalità alla realizzazione finale della lesione, il termine decorre dal primo di essi percepibile come tale (Cass. 6305/ 2008).

 

Casistica di azioni giudiziali, conservative dei diritti inerenti le parti comuni.

Sono quelle per cui l’amministratore può agire ex art 1130 n. 4 c.c. senza la necessità di una autorizzazione condominiale.

 

Costruzione, difetti di c. (art. 1669 c.c.).

Consolidato indirizzo stabilisce che l’art. 1130 c.c., n. 4, che attribuisce all’amministratore del condominio il potere di compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio, deve interpretarsi estensivamente nel senso che, oltre agli atti conservativi necessari ad evitare pregiudizi a questa o a quella parte comune, l’amministratore ha il potere – dovere di compiere analoghi atti per la salvaguardia dei diritti concernenti l’edificio condominiale unitariamente considerato. Pertanto rientra nel novero degli atti conservativi di cui al citato art. 1130 c.c., n. 4, l’azione di cui all’art. 1669 c.c., intesa a rimuovere i gravi difetti di costruzione, nel caso in cui questi riguardino l’intero edificio condominiale ed i singoli appartamenti, vertendosi in una ipotesi di causa comune di danno che abilita alternativamente l’amministratore del condominio ed i singoli condomini ad agire per il risarcimento, senza che possa farsi distinzione tra parti comuni e singoli appartamenti o parte di essi soltanto (Cass. 5613/1996; Corte d’App.  Ancona 116/2012).

In ipotesi di controversia promossa ex art. 1669 c.c. contro il venditore di unità immobiliari che abbia curato o curi direttamente la costruzione, ancorché i lavori siano stati appaltati ad un terzo, l’amministratore del condominio è legittimato ad agire perché tale azione configura un atto conservativo e perciò rientra nei suoi poteri – se i difetti sono riscontrati sulle parti comuni. (Cass.7470/2011).

L’amministratore del condominio è legittimato a proporre l’azione di cui all’art. 1669 c.c., relativa ai gravi difetti di costruzione che possano porre in pericolo la sicurezza dell’edificio condominiale, anche senza preventiva autorizzazione da parte dell’assemblea condominiale (Cass. 17484 /2006).

 

Danno temuto.

In tema di condominio di edifici la norma del comma 4 dell’art. 1130 c.c. va intesa nel senso che l’amministratore, oltre a chiedere i provvedimenti cautelari, è abilitato anche a compiere tutti gli atti diretti alla conservazione della integrità delle cose comuni, con la conseguenza che il medesimo può esercitare, senza la preventiva autorizzazione dell’assemblea dei condomini l’azione di danno temuto (Cass. 152/1985).

 

Immobile condominiale, rilascio di i.

L’amministratore del condominio è pienamente legittimato ad agire per ottenere il rilascio di un immobile condominiale attesa la natura personale dell’azione, essendo il recupero del bene essenziale per l’ulteriore fruizione dello stesso bene da parte di tutti i condomini. (Cass. 1768/2012).

Inoltre, l’amministratore è legittimato ad agire per il rilascio dell’alloggio detenuto senza titolo dal portiere licenziato ovvero per il rilascio da parte del coniuge del portiere deceduto che detenga l’immobile senza titolo (Cass. 7162/1991).

 

Regolamento, violazione del.

Può anche proporre domanda tendente a ottenere la cessazione della violazione di prescrizioni del regolamento condominiale, come nel caso di inosservanza degli orari stabiliti per lo scuotimento dalle finestre di tovaglie e battitura dei tappeti, avendo anche la facoltà di irrogare sanzioni pecuniarie, qualora ciò sia previsto dal regolamento ai sensi dell’art. 70 disp. att. c.c. (Cass.14735/2006).

L’amministratore del condominio è legittimato ad agire e resistere in giudizio, senza necessità di alcuna preventiva autorizzazione assembleare, non solo per l’esecuzione delle delibere dell’assemblea, ma anche per garantire l’osservanza del regolamento condominiale ( nello specifico l’uso improprio di un locale condominiale) e tutelare conseguentemente la condominialità dagli effetti lesivi della inosservanza dello stesso (Cass.16240/2003).

 

Reintegra.

Si osserva che la presente controversia rientra fra quelle per le quali l’amministratore è autonomamente legittimato ex art. 1131 c.c., comma 1. L’azione proposta dal Condominio rientra fra le azioni di natura conservativa a tutela di diritti inerenti le parti comuni dell’edificio, fra le quali rientra il lastrico solare di proprietà condominiale Lo stesso potrà quindi promuovere un’azione giudiziale per la reintegrazione avverso la sottrazione, a opera di uno dei condomini, di una parte comune dell’edificio al compossesso di tutti i condomini, poiché “tale azione, essendo diretta a conservare l’esistenza delle parti comuni condominiali, rientra tra le attribuzioni dell’amministratore ex art. 1130 c.c., n. 4 (Cass. 7041/2012).

Lo stesso potrà quindi promuovere un’azione giudiziale per la reintegrazione avverso la sottrazione, a opera di uno dei condomini, di una parte comune dell’edificio al compossesso di tutti i condomini, poiché “tale azione, essendo diretta a conservare l’esistenza delle parti comuni condominiali, rientra tra le attribuzioni dell’amministratore ex art. 1130 c.c, n. 4 (Cass. 7063/2002).

L’amministratore è legittimato, senza necessità di autorizzazione dell’assemblea dei condomini, a promuovere azione di reintegrazione avverso la sottrazione, ad opera di taluno dei condomini, di una parte comune dell’edificio al compossesso di tutti i condomini, perché tale azione, essendo diretta a conservare l’esistenza delle parti comuni condominiali, rientra tra le attribuzioni dell’amministratore ex art. 1130 c.c., n. 4 (Cass. 6190/2001).

 

Riduzione in pristino.

La seconda censura ha per oggetto la legittimazione attiva del condominio: i ricorrenti sostengono che l’azione proposta fosse di reintegra, ma non vi sia stato accertamento dell’esercizio di fatto del possesso da parte dei convenuti né dell’esecuzione di opere impeditive dell’uso comune. La Suprema Corte rileva però che in realtà la domanda era diretta alla tutela dello stato di fatto del bene condominiale mediante il ripristino dell’originario stato dei luoghi: a tal proposito, consolidata giurisprudenza ha affermato che il potere rappresentativo dell’amministratore comprende tutte le azioni volte a realizzare la tutela dei diritti sulle parti comuni dell’edificio, con la sola esclusione di quelle che incidono sulla condizione giuridica dei beni cui si riferiscono, esorbitando cioè dall’ambito degli atti conservativi. Nel caso, al contrario, i giudici di legittimità rilevano che l’amministratore ha agito con un’azione volta al ripristino dei luoghi, al fine di mantenere l’integrità materiale dell’area condominiale: non c’è dubbio che una simile azione rientri nell’ambito degli atti conservativi ex art. 1130 c.c. (Cass. 7327/2013).

In relazione alla denuncia da parte di un condominio dell’abusiva costruzione da parte del costruttore di una porzione di area (in uso) condominiale mediante la costruzione di manufatto di proprietà esclusiva, sussiste la legittimazione dell’amministratore di condominio ad agire giudizialmente ai sensi dell’articolo 1130 n. 4 e 1131 cc., con azione per il ripristino dei luoghi e il risarcimento del danno, nei confronti dell’autore dell’opera denunciata e dell’acquirente di essa.

Senza necessità di un mandato da parte dell’assemblea, in quanto l’azione rientra fra gli atti conservativi delle parti comuni (Cass. 16230/2011).

Nel ritenere l’amministratore legittimato a proporre l’azione di ripristino dello stato dei luoghi, la Corte di merito si è conformata alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale il potere rappresentativo che compete all’amministratore del condominio ex artt. 1130 e 1131 c.c. e che, sul piano processuale, si riflette nella facoltà di agire in giudizio per la tutela dei diritti su parti comuni dell’edificio, comprende tutte le azioni volte a realizzare tale tutela, con esclusione soltanto di quelle azioni che incidono sulla condizione giuridica dei beni cui si riferiscono, esulando, pertanto, dall’ambito degli atti conservativi (Cass. 23065/2009).

Anche in un caso di costruzione di manufatto di proprietà esclusiva su una porzione di area (in uso)condominiale, la Corte di Cassazione ha ravvisato la legittimazione dell’amministratore di condominio ad agire giudizialmente ai sensi dell’art. 1130 n. 4 e 1131 c.c., con azione per il ripristino dei luoghi e il risarcimento del danno, nei confronti dell’autore dell’opera denunciata e dell’acquirente di essa (Cass. 24764/2005).

L’amministratore condominiale ha il dovere di attivare, senza necessità di autorizzazione assembleare, le iniziative giudiziarie più opportune a tutela dei diritti inerenti alle cose comuni, quando l’attività di un condomino o di un terzo si risolve nella realizzazione di un manufatto pregiudizievole della destinazione di un bene compreso nel perimetro condominiale (Corte App. civ. Milano, 1020/1991).

 

Casistica di azioni giudiziarie non meramente conservative dei diritti inerenti le parti comuni.

 Per l’esercizio di tali azioni è, pertanto, necessaria l’autorizzazione dell’assemblea, con la maggioranza prescritta dall’art. 1136,commi 2 c.c., per adire il giudice (Cass. 24764/2005).

 

Actio negatoria e confessoria servitutis.

Il Condominio è notoriamente un ente di gestione e, come tale, se può agire in via cautelare e urgente per eseguire interventi ed opere di manutenzione straordinaria al proprio stabile […], non può chiedere il riconoscimento di un diritto di passaggio-servitù, competendo detti diritti reali solo a persone fisiche o giuridiche (Trib. Roma, 618/2013).

Era stata proposta un’azione di mero accertamento (negatoria servitutis) da parte della società immobiliare senza ulteriori richieste in ordine alla rimozione o alla esecuzione di opere. Quindi, in giudizio poteva stare solo il Condominio in conformità all’orientamento più volte espresso dalla Corte di cassazione e tra gli altri Cass. 1975 n. 3751 (Cass. 1097/2010).

Sussiste la legittimazione passiva dell’amministratore di condominio in tema di azioni negatorie e confessorie servitutis qualora si controverta sull’esistenza di una servitù prediale costituita a favore del terreno su cui è stato edificato lo stabile condominiale, in quanto in tale ipotesi la servitù è esercitata indistintamente da tutti i condomini, e non singolarmente da ciascuno di essi. (Trib. Napoli, 10142/1996).

Come, ad es. l’esperimento da parte dell’amministratore di condominio dell’actio confessoria servitutis, nei confronti di un singolo condomino o di un terzo, richiede l’autorizzazione dell’assemblea o il mandato espresso dei singoli partecipanti (Cass. 6119/1994).

Infatti, l’azione diretta a escludere l’assoggettamento dell’androne condominiale al servizio di un vano che fa parte dell’edificio solo materialmente in quanto, in base al regolamento condominiale, è escluso dal godimento di tale parte comune, va qualificata come negatoria servitutis e, di conseguenza, per la sua esperibilità da parte dell’amministratore di condominio ai sensi degli artt. 1130 e 1131 c.c., si richiede l’autorizzazione dell’assemblea, o il mandato espresso dei singoli condomini, in quanto, vertendosi in tema di azione a carattere reale con finalità non meramente conservativa, esula dalle normali attribuzioni dell’amministratore stesso (Cass. 1547/1981).

 

Assicurazione, contratti di a.

Nell’ipotesi specifica della stipulazione di una polizza da parte del condominio in persona dell’amministratore, ciascun condomino non può sostituirsi all’amministratore stesso e agire contro l’assicuratore per il recupero delle spese sostenute per il ripristino delle parti comuni in quanto la rappresentanza spetta comunque all’amministratore e il singolo condomino non può considerarsi singolarmente legittimato a rappresentare l’ente di gestione, contraente della polizza nell’interesse di tutti i partecipanti al condominio (Cass. 4245/2009).

Non rientra tra gli atti che un amministratore può compiere senza autorizzazione dell’assemblea la stipula di un contratto di assicurazione sull’edificio, in quanto l’art. 1130 c.c., obbligando l’amministratore ad eseguire gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni, ha inteso riferirsi ai soli atti materiali (riparazioni di muri portanti, di tetti e lastrici) e giudiziali (azioni contro comportamenti illeciti posti in essere da terzi o condomini) necessari per la salvaguardia dell’integrità dell’immobile: tra questi non può farsi rientrare il contratto d’assicurazione, perché questo non ha gli scopi conservativi ai quali si riferisce la norma dell’art. 1130 c.c., ma ha come suo unico e diverso fine quello di evitare pregiudizi economici ai proprietari dell’edificio.

Dunque l’amministratore per assicurare l’edificio (attività opportuna) dovrà chiedere ed ottenere, prima, l’approvazione dell’assemblea (Cass. 8233/2007).

 

Balcone, ampliamento di un b.

Appare fondato il primo motivo di ricorso, con il quale si censurano gli atti impugnati per non avere la società contro interessata acquisito la previa autorizzazione dell’assemblea del condominio; che la richiesta della concessione edilizia da parte del proprietario di un appartamento sul quale devono essere eseguiti i lavori, deve essere corredata dell’autorizzazione dell’assemblea del condominio tutte le volte in cui le opere (nella specie ampliamento di un balcone) incidono sulle parti comuni dell’edificio condominiale (facciata dell’edificio) (T.A.R. Sardegna. 207/2012).

 

Cortile comune, apertura di accesso nel c .

Non risulta legittimato, senza apposita autorizzazione, all’esperimento di azioni reali contro i singoli condomini o contro terzi dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità o al contenuto di diritti su cose e parti dell’edificio, a meno che non rientrino nel novero degli atti meramente conservativi (Nella specie, la S. C. ha cassato senza rinvio la sentenza che aveva riconosciuto tale legittimazione in relazione all’azione proposta nei confronti di uno dei comproprietari che aveva aperto accessi nel cortile comune ai fini della rimessa di autovetture, in quanto tale azione, secondo la S.C., avrebbe inciso sulla condizione di un bene comune sottoposto a servitù) (Cass. 3044/2009).

 

Distanze legali tra edifici, violazione delle d.

Tutti i condòmini, e non soltanto quelli che siano proprietari delle porzioni esclusive direttamente prospettanti verso le costruzioni che violano le distanze legali, sono legittimati ad agire per far valere il rispetto delle disposizioni sulle distanze, le quali mirano a salvaguardare i fabbricati considerati nella loro interezza (Cass. 21486/2012).

Le azioni reali contro terzi, a difesa dei diritti dei condòmini sulle parti comuni di un edificio, quali quelle volte a denunziare la violazione delle distanze legali tra costruzioni, essendo dirette a ottenere statuizioni relative alla titolarità e al contenuto dei diritti medesimi, non rientrano tra gli atti meramente conservativi e possono, quindi, promuoversi dall’amministratore del condominio solo se sia autorizzato dall’assemblea, a norma dell’art. 1131 c.c., comma primo, (Cass. S.U. 10615/1996).

 

Mutui, contrazione di m.

L’amministratore del condominio non può, senza espressa autorizzazione dell’assemblea dello stesso, contrarre mutui in nome di quest’ultimo ancorché per il pagamento delle spese di gestione, atteso che il potere di rappresentanza del predetto amministratore può essere esercitato nei limiti delle facoltà conferitegli (artt. 1131 e 1388 c.c.) e quindi nell’ambito delle attribuzioni indicate dall’art. 1130 c.c. con la conseguenza che il contratto con il quale il condominio abbia concesso un mutuo all’amministratore (a tanto non autorizzato dall’assemblea) per provvedere alle spese occorrenti alla manutenzione delle parti comuni non è efficace nei confronti del condominio (Cass. 1734/1990).

 

Provvedimento amministrativo, impugnazione di un p.

Il contenzioso in trattazione, come sopra evidenziato, riguarda la richiesta di annullamento un provvedimento comunale di ripristino che, come tale, non può ricomprendersi nell’ambito degli atti conservativi, atteso che la presenza di un provvedimento autoritativo – e non già di un mero comportamento dell’Amministrazione – esclude la riconducibilità del ricorso in esame tra le azioni conservative. In altri termini, l’azione proposta in quanto impugnatoria, non può ritenersi meramente conservativa. A tale stregua, dovendo ritenersi l’azione promossa estranea alle attribuzioni dell’amministratore fissate dall’art. 1331 e non risultando dagli atti una eventuale estensione di tali attribuzioni per effetto del regolamento di condominio (che non risulta depositato), l’azione proposta dall’amministratore doveva essere specificamente e previamente autorizzata dall’assemblea del condominio (Cons. St. Sez. V, 1467/1997).

 

Risarcimento danni.

La legittimazione dell’amministratore, quale è prevista dall’art. 1130 c.c. per gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio, non si estende oltre i limiti delle domande dirette al ripristino delle parti comuni nel loro normale stato e non comprende, quindi, la domanda di risarcimento dei danni conseguenti al deprezzamento delle parti comuni, dell’immobile che, non essendo diretta alla conservazione dell’immobile, resta nell’esclusiva disponibilità dei singoli condomini (Cass. 4679/1992).

 

Rivindica o revindica.

L’amministratore convenuto in un giudizio, avente ad oggetto parti in comune dell’edificio, può proporre domanda riconvenzionale solo se munito di specifico mandato, non essendo sufficiente il potere, conferitogli dal comma 2 dell’art. 1131 c.c. per resistere alla domanda della controparte.

L’amministratore di condominio non è legittimato ad agire per il riconoscimento dei diritti dei condomini su un locale, proponendo, sostanzialmente, un’azione di revindica dell’immobile nei confronti del terzo che assume di averlo validamente acquistato, contestandone la natura di bene condominiale come rimedio conservativo, rientrante nei normali poteri dell’amministratore, avendo invece natura reale a contenuto equivalente all’azione di revindica, la cui proposizione deve essere autorizzata dall’assemblea condominiale. (Cass. 840/1998).

In questa prospettiva, si è sostenuto che l’azione di rivendicazione della proprietà comune dell’appartamento abusivamente costruito da un condomino sul lastrico solare comune dell’edificio, non avendo scopo meramente conservativo, non rientrasse tra gli atti che l’amministratore ha il potere di compiere senza autorizzazione o delega. (Cass. 4530/1993).

Le azioni reali nei confronti dei terzi, a difesa dei diritti dei condomini sulle parti comuni di un edificio (nella specie, azione di rivendica), tendono a statuizioni relative alla titolarità ed al contenuto dei diritti medesimi ed, esulando, pertanto, dall’ambito degli atti meramente conservativi (art. 1130 c.c., n. 4,), possono essere proposte dall’amministratore del condominio solo se regolarmente autorizzato dall’assemblea, ai sensi dell’art. 1131 c.c., con la maggioranza indicata dal secondo comma dell’art. 1136 c.c. (Cass 4856 /1993).