La Casa Famigliare nella Convivenza e nel Matrimonio

La casa famigliare (sia essa di proprietà che concessa in locazione) rappresenta, indubbiamente, non solo un bene patrimoniale ed economico, una chiara fonte di reddito, ma anche un bene affettivo, un luogo quasi “sacro”, inviolabile, l’ habitat dove si concentrano gli affetti più cari e veri.

Sono stati già ampiamente evidenziati i diritti e i doveri nascenti dal matrimonio (fedeltà, coabitazione, assistenza materiale e morale), obblighi che, invece, non sono in alcun modo presenti nelle cosiddette famiglie di fatto, ovvero in quei nuclei famigliari non fondati sul matrimonio, sia esso concordatario o civile.

La differenza tra coppie di fatto e sposate si realizza soprattutto con riferimento alle conseguenze derivanti dalla crisi del matrimonio o della convivenza, soprattutto per quanto concerne la casa coniugale e, in particolare, la sua destinazione ed uso.

 Per prima cosa, è bene ricordare che se la casa viene acquistata in costanza di matrimonio da uno o da entrambi i coniugi, solitamente, salva diversa pattuizione, rientra nel regime di comunione dei beni e, quindi, appartiene per il 50% alla moglie e per il 50% al marito.

Diversamente se l’acquisto avviene durante una convivenza di fatto, essa è e rimane di proprietà di colui al quale l’immobile è intestatario nell’atto di acquisto e nelle relative trascrizioni.

Ma quali sono le sorti della casa famigliare nel caso in cui il matrimonio entra in crisi? E cosa succede, invece, se entra in crisi la convivenza di fatto?

In caso di separazione, la casa coniugale, in presenza di figli minorenni o maggiorenni non indipendenti economicamente, viene assegnata – con il mobilio in essa presente –  al coniuge affidatario, di solito la moglie, anche se l’immobile è di proprietà del marito, così come previsto all’art. 155 c.c. il quale dispone che “l’abitazione nella casa famigliare spetta di preferenza, e ove sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli”.

Anche in caso di divorzio, l’art. 6 c. 6 L. 898/1970 recita che “l’abitazione famigliare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli. In ogni caso il Giudice, ai fini dell’assegnazione, dovrà valutare le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione  e favorire il coniuge più debole”.

Ma a chi spetta l’assegnazione della casa nel caso in cui sia la convivenza more uxorio ad entrare in crisi e a cessare?

In tale ipotesi, purtroppo, non esistono diritti legali a favore del partner non intestatario della casa: in tal senso, la casa appartiene a tutti gli effetti solo al legittimo proprietario.

Tuttavia, l’assegnazione in godimento della casa famigliare può essere riconosciuta dal Giudice anche al genitore naturale affidatario di un minore o con maggiorenni non economicamente autonomi, alla luce del diritto dei figli a conservare l’habitat domestico inteso quale luogo degli affetti, degli interessi e consuetudini di vita, indipendentemente da chi sia titolare del diritto di proprietà.

 Ciò è stato ribadito anche dalla Corte Costituzionale con la risalente sentenza n. 166 del 13.05.1998, secondo la quale deve applicarsi il principio di responsabilità genitoriale anche in caso di convivenza more uxorio e della sua cessazione.

Naturalmente, in assenza id figli, l’uso della casa appartiene a tutti gli effetti al convivente  proprietario della stessa.