Pagamenti tra ex conviventi: si possono recuperare?

Pagamenti tra ex conviventi: si possono recuperare?

Pagamenti tra ex conviventi: Le attribuzioni patrimoniali tra ex conviventi sono fonte di arricchimento ingiustificato se esulano dal dovere di assistenza e superano i limiti di proporzionalità e adeguatezza.

In tema di pagamenti tra ex conviventi si è così espressa la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, con sentenza n.2392/2020, ribadendo il già costante orientamento secondo il quale le attribuzioni patrimoniali intercorse tra ex conviventi possono integrare un ingiustificato arricchimento in capo al soggetto a favore del quale sono destinate, ogni qualvolta esulano dall’adempimento dei doveri nascenti dal rapporto di convivenza, travalicando i limiti di proporzionalità ed adeguatezza, valutati sulla base delle circostanze concrete.

Pagamenti tra ex conviventi: da quale caso trae origine tale pronuncia? Nello specifico, tale pronuncia trae origine da una recente vicenda in cui un uomo, dopo la fine di un lungo rapporto di convivenza, aveva citato in giudizio l’ex compagna al fine di ottenere la restituzione di 500.000,00 Euro circa, quale valore delle attribuzioni patrimoniali che egli aveva eseguito nei suoi confronti sulla base di quello che, a suo parere, era un rapporto di associazione in partecipazione ai sensi dell’art. 2549 c.c.

In principio, il Tribunale adito accoglieva la domanda attorea, qualificandola come azione di arricchimento senza giusta causa ai sensi dell’art. 2041 c.c., escludendo così l’applicazione, al caso di specie, delle norme previste in tema di obbligazioni naturali.

Successivamente la donna, soccombente in primo grado ed il cui appello era stato dichiarato inammissibile, ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione.

In tale sede, la donna eccepiva la violazione e falsa applicazione degli articoli 2549 e 2042 c.c. per non aver il Tribunale escluso l’esperibilità dell’azione di indebito arricchimento, tenuto conto della sussistenza di un titolo contrattuale, affermato dallo stesso attore in primo grado.

Inoltre, la donna lamentava altresì la violazione e falsa applicazione degli articoli 2034 e 2041 c.c. poiché, a suo avviso, la sentenza impugnata aveva errato nel non ricondurre le attribuzioni patrimoniali eseguite in suo favore dall’attore, all’istituto delle obbligazioni naturali, ritenendole invece assoggettabili all’azione di indebito arricchimento.

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile!

In merito al primo motivo del ricorso, ossia l’aver il Tribunale errato nel non escludere la concreta esperibilità dell’azione di indebito arricchimento, la Suprema Corte ha richiamato un orientamento consolidato in materia, secondo il quale “la proponibilità dell’azione generale di indebito arricchimento, in relazione al requisito di sussidiarietà di cui all’art. 2042 c.c., postula semplicemente che non sia prevista nell’ordinamento giuridico altra azione tipica a tutela di colui che lamenti il depauperamento, ovvero che la domanda sia stata respinta sotto il profilo della carenza ab origine dell’azione proposta, per difetto del titolo posto a suo fondamento.” (cfr. Cass. Civ., 2350/2017).

 Parimenti, la Suprema Corte ha reputato infondato il secondo motivo del ricorso – con cui la ricorrente lamentava la mancata qualificazione del fatto quale obbligazione naturale e, di conseguenza, l’erroneità della qualificazione della domanda attorea quale azione di indebito arricchimento – evidenziando che “un’attribuzione patrimoniale a favore del convivente “more uxorio” configura l’adempimento di un’obbligazione naturale a condizione che la prestazione risulti adeguata alle circostanze e proporzionata all’entità del patrimonio e alle condizioni sociali del solvens.” (Cass. Civ., n.3713/2003).

In particolare, con riferimento all’azione di indebito arricchimento, la Cassazione ha richiamato il suo precedente orientamento per cui “L’azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro che sia avvenuta senza giusta causa, sicchè non è dato invocare la mancanza o l’ingiustizia della causa qualora l’arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell’adempimento di un’obbligazione naturale. E’, pertanto, possibile configurare l’ingiustizia dell’arricchimento da parte di un convivente more uxorio nei confronti dell’altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza – il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto – e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza.” (Cass. Civ., n.11330/2009).

Dunque, le attribuzioni patrimoniali tra ex conviventi sono fonte di arricchimento ingiustificato se esulano dal dovere di assistenza e superano i limiti di proporzionalità e adeguatezza.