In materia di licenziamento, il lavoratore deve provare il carattere ritorsivo del licenziamento. Lo afferma la Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 14319 del 2013, ha respinto il ricorso di un lavoratore che aveva impugnato il licenziamento, sostenendone il carattere ritorsivo.
La Suprema Corte ha precisato che il dipendente, che sosteneva il carattere ritorsivo del licenziamento, in ragione del suo rifiuto di conversione del contratto da full time a tempo parziale, avrebbe dovuto fornirne le prove, non potendo gravare sul datore di lavoro l’onere di giustificare l’assenza della ritorsione.
Gli Ermellini hanno ritenuto che il licenziamento non avesse carattere ritorsivo, anzi era suffragato da una giusta causa, ovvero fosse dovuto a una notevole riduzione dell’attività amministrativa di registrazione e di caricamento delle dichiarazioni e delle ricezioni di atti dell’azienda, a cui era addetto il dipendente, con conseguente netta diminuzione dei ricavi.
Il lavoratore avrebbe dovuto dimostrare invece nel corso del giudizio “la sussistenza di un rapporto di causalità tra le circostanze pretermesse e l’asserito intento di rappresaglia” e non limitarsi a mere considerazioni astratte. Per cui è stata confermata la sentenza che ha dichiarato legittimo il licenziamento.