Risarcimento Danni al Convivente: È riconosciuto il risarcimento al convivente per il danno del figlio del partner?

Risarcimento danni al convivente La prematura perdita di un figlio a seguito, per esempio, di un grave incidente stradale, è quasi un atto “contro natura” che comporta uno stato di sofferenza inimmaginabile.

Di fronte a tale sofferenza morale, a tale danno, da sempre, la giurisprudenza e i Tribunali hanno cercato, per quanto possibile, di dare “ristoro” in termini prettamente monetari.

Il risarcimento del danno non patrimoniale previsto dall’articolo 2059 del codice civile, solitamente spetta, in caso di morte del danneggiato, ai famigliari più prossimi, solitamente i genitori della vittima.

Recentemente, la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla questione relativa al risarcimento del danno non patrimoniale dei familiari della vittima in caso di sinistro stradale.

Due dei figli di parte attrice erano stati vittime di un sinistro stradale, in seguito al quale uno dei due aveva perso la vita, e l’altro era rimasto ferito.

La donna, insieme al proprio convivente, al fratello e allo zio delle vittime, aveva citato in giudizio il responsabile del sinistro nonché la sua società assicurativa r.c.a. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patiti.

Il Tribunale aveva accolto la richiesta della donna, ma i Giudici dell’appello avevano ridotto l’importo del danno patrimoniale liquidato dal giudice di primo grado, sentenza questa, che veniva impugnata per cassazione dalla società assicurativa.

Gli Ermellini, con sentenza n. 8037/2016 hanno accolto il ricorso della donna che lamentava la violazione dell’art. 2059 c.c., in quanto la Corte d’appello aveva accordato il risarcimento del danno non patrimoniale da uccisione di un congiunto anche al compagno di fatto della madre della vittima, che non aveva titolo per pretendere il risarcimento del danno non patrimoniale, con conseguente violazione dell’art. 2059 c.c., il quale consente il risarcimento del danno non patrimoniale nei soli casi previsti dalla legge.

Nel caso di specie la Corte, pur ammettendo che in teoria tra il figlio di una donna che ha una relazione more uxorio e il compagno della madre possano crearsi vincoli affettivi anche profondi, nondimeno ha ritenuto che non sussistessero le condizioni per liquidare un danno non patrimoniale al compagno della madre. Ciò in quanto il rapporto affettivo tra il figlio e il compagno del suo genitore può dirsi rilevante per il diritto solo quando si inserisca in quella rete di rapporti che viene qualificata come famiglia di fatto, così costituendo una “formazione sociale” ai sensi dell’art. 2 Cost., come tale meritevole di tutela anche sotto il profilo risarcitorio.

A supporto della propria tesi, i Giudici della Suprema Corte si sono richiamati ai principi europei espressi dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo, secondo cui una famiglia di fatto non sussiste solo perché delle persone convivano, ma debbano invece essere presenti una serie cospicua di indici presuntivi: la risalenza della convivenza, la quotidianità o per lo meno la frequenza abitudinaria e non saltuaria delle frequentazioni, il sostegno morale (c.d. mutuum adiutorium), l’assunzione concreta, da parte del genitore di fatto, di tutti gli oneri, i doveri e le potestà incombenti sul genitore di diritto.

Non è scontato, quindi, che tra il convivente del genitore della vittima e quest’ultima sussista sempre, in automatico, una relazione famigliare in sé e per sé solo perché esiste la convivenza della coppia di fatto.

In conclusione, il diritto al risarcimento del danno al compagno convivente del genitore può essere riconosciuto laddove vi sia un rapporto affettivo stabile e duraturo, paragonabile, quasi, a quello con il genitore biologico.